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L'uso della pietra leccese nei mestieri e nell'artigianato salentino di una volta

La pietra leccese ha nel Salento, una notevole adattabilità nell'edilizia, e le tajàte, le cave, che segnano il paesaggio salentino stanno a testimoniare che da tempi immemorabili essa rappresenta una risorsa economica e culturale. E’ un ulteriore elemento di fatica, assieme alla scarsità dell'acqua per l'agricoltura, in quanto la maggior parte dei terreni coltivati è stata qui sottratta ai cuti, dal latino cotes, ovvero rocce.

Vuoi fare una visita guidata alla scoperta di laboratori i cui si lavora ancora la pietra leccese e assistere al lavoro artgianale come si faceva una volta? Basta crecare nel seguente widget il tour che fa per te! Le rubriche suggerite hanno puro valore indicativo, programmi di escursioni e visite vengono continuamente aggiornati, consultali seguendo le indicazioni!

 

L'utilizzo della pietra leccese nel Salento

La roccia affiorante in tutta la campagna del Salento; i muretti a secco e le antiche pajare salentine, che insieme rappresentano una delle caratteristiche più marcate del paesaggio agricolo salentino, sono stati costruiti così, liberando il terreno dai sassi poco alla volta, e ponendoli nel campo o al suo confine, petra subbra petra, uno dopo l'altro.

Pajare salentine

Pajare salentine

La duttilità del leccisu, un calcare estratto dalle cave disseminate in tutto il territorio salentino, ha consentito e agevolato lo sviluppo di un artigianato artistico della pietra che nel Salento è presente non solo nei grandi monumenti dell'edilizia ecclesiastica e baronale, ma anche in minimi, preziosi ornamenti d'ogni casa.

Lu Scalpellinu

Gli scalpellini lavoravano esclusivamente la pietra leccese; sceglievano blocchi molto compatti, senza vene e senza fossili, di dimensioni adeguate ai manufatti da produrre, che erano pietre ornamentali per edifici (balconi, stipiti, cariatidi, balaustre, stemmi nobiliari, elementi generici di abbellimento), oggetti di uso comune (pestatoi) e di ornamento (statue, vasi).

I ferri del mestiere erano: lu scarpieddhu, naturalmente, di varie misure; martelletti metallici e mazzuole di legno, sega, lima ed accetta, squadra metallica e seghetti per la pietra.

Accadeva talvolta che un pezzo in avanzata fase di realizzazione, a causa di una distrazione o lieve imperizia dello scalpellino o per un urto, si sfregiasse: allora lu mesciu preparava un impasto di polvere di pietra, zucchero e bianco d'uovo, e con questo mastice ricostruiva il frammento asportato o riempiva un piccolo vuoto indesiderato.

L'impiego della pietra leccese sulla facciata delle chiese

L'impiego della pietra leccese sulla facciata delle chiese

L'impiego della pietra leccese per abbellire le case

L'impiego della pietra leccese per abbellire le case

Un video girato in un laboratorio di lavorazione della pietra leccese

Lu Cavamonti

Allorquando si costruiva una casa, era necessario scavare per tre motivi: per le fondamenta, per la cisterna e per il cesso. Il ruolo fondamentale nella edificazione della casa è proverbiale, ed i muratori lo tenevano ben presente nell'affidarle al cavamonti, il quale scavava dentro la pietra così che le mura della casa si innestassero nella roccia.

La cisterna raccoglieva l'acqua piovana attraverso un sistema di pendenze e di canali sulle terrazze, e stante l'assenza di fiumi nel Salento, era preziosa per la conduzione della casa ed era sufficientemente grande, almeno una sessantina di metri cubi, per non rimanere a secco durante la primavera e l'estate.

Anche la fossa per il bagno doveva essere sufficientemente grande, anche se non quanto la cisterna, dalla quale doveva essere ben distante così da evitare infiltrazioni.

Lu Cavapietre

I cavapietre ripulivano prima il suolo dalla terra, mettendo a nudo la roccia, ed esportavano i sassi mobili; quindi passavano a spostare le rocce affioranti, rompendole con le mazze o con i cunei se erano troppo grandi; si affrontava infine la roccia piena: mediante la palamìna, un palo di ferro con la parte superiore a sezione circolare, per favorire l'impugnatura, la parte inferiore a sezione quadrata e la punta d'acciaio a scalpello, si effettuava un buco profondo circa un metro e mezzo e di circa tre centimetri di diametro.

Alla base del buco si calava un cartoccetto con polvere da sparo e con un lucigno, la miccia, che fuoriusciva dal buco, e sul cartoccio si pressavano strati di brecciolina minuta e di sabbia; per qualche metro quadrato intorno al foro si accatastavano delle fascine di sarmenti con sopra grossi massi, così che, una volta dato fuoco alla miccia, tutta la potenza dell'esplosione si scaricasse all'interno della roccia e non verso l'esterno. Lo scoppio lesionava il blocco pietroso e ne consentiva lo scavo.

Una specializzazione del cavamonti era l'estrazione delle cave di cuccetti, conci per l'edilizia, di tufo o di pietra leccese. Dalla fine della seconda guerra mondiale si è inoltre diffusa l'estrazione di pietrisco di varie dimensioni, utilizzato nell'edilizia stradale. Mazzaru si chiama il grosso macigno a fior di terra; per estensione, la parola è passata ad indicare una persona da modi rozzi, uno zoticone. Negli ultimi anni è stata recuperata nello slang giovanile come sinonimo di cafone, burino.

In alcune fasi dell'edilizia abitativa e nell'edilizia stradale è necessario l'uso di pietre minute che da alcuni decenni vengono prodotte da macchine frantumatrici, ma un tempo venivano ottenute mediante la frantumazione manuale, una per una.

Lu Cazzafricciu

Il cazzafricciu si sedeva su un mucchio di pietre irregolari, non molto grandi e comunque lunghe alcune decine di centimetri per almeno due spigoli, e le spaccava battendole con un tozzo martello di acciaio; talvolta la pietra veniva picchiata poggiata sulle altre, talvolta tenendola in mano, senza guanti o altre protezioni. In alcuni casi questo lavoro veniva svolto da ciechi.

Nella cultura contadina la casa costituisce un punto fermo imprescindibile, un riferimento che dà sicurezza economica e morale, uno spartiacque sociale capace di collocare una persona di là o di qua: basta ricordare la casa del nespolo di verghiana memoria per capirne l'importanza.

Il valore della casa, anche soltanto di una stanza, è ugualmente forte nel Salento, al punto che era pressoché impossibile sposarsi senza possedere una casa, e chi lo faceva era oggetto d'un certo disprezzo.

Lu Fabbricature

In una società nella cui scala di valori la casa è ai primissimi posti, aveva un grande rilievo lu fabbricature, il muratore, e non casualmente il suo nome proviene da faber, artefice: una parola talmente importante da essere attribuito, del sommo artefice, il Padreterno.

Ai fabbricaturi anziani e d'esperienza spettava il titolo di mesciu, al quale gli estranei al gruppo facevano seguire il nome proprio, a differenza dei dipendenti che usavano solo il titolo, mentre i giovani erano chiamati vagnoni, ovvero ragazzi, garzoni.

In genere nu mesciu aveva il proprio gruppo di lavoro, era un piccolo imprenditore che possedeva gli attrezzi necessari alla edificazione d'una casa, scale, pale, asce, livelle, martelli, coffe di latta, il trabattello e soprattutto assi di legno per le impalcature, e che si assumeva l'appalto dell'intera costruzione, che portava a termine con i propri dipendenti ed affidando eventualmente segmenti di lavorazione ad altri artigiani: ad esempio, lo scalpellino le rifiniture dei balconi o altri ornamenti della muratura.

All'interno del gruppo di lavoro c'era una rigida gerarchia che andava dal capomastro, il quale si occupava degli approvvigionamenti delle misurazioni, delle verifiche e di altri aspetti di responsabilità e di rifinitura; ai mesci di esperienza, che tagliavano i cuccetti, i conci di pietra, secondo le misure necessarie, ed apponevano la malta sul concio sottostante e vi collocavano sopra il successivo, verificando con la livella, il filo a piombo ed una asse stretta e lunga un paio di metri la correttezza del posizionamento, nonché discutevano col capomastro la soluzione di questioni lavorative importanti.

Li giovani, i quali si occupavano di carico e scarico dei materiali e del loro trasporto nel cantiere ed in particolare dal suolo al livello di lavorazione raggiunto dal fabbricato, al vagnone de la conza, il ragazzo che mescolava acqua, sabbia e calce, o cemento, in tempi più recenti, per ottenere la malta, il quale rappresentava il gradino più basso della gerarchia nel cantiere ed era, e tuttora è un modo proverbiale per indicare il livello più modesto nella gerarchia sociale d'un processo lavorativo; ancora oggi, allorché si vuole significare un ruolo infimo si usa dire: lu vagnone de la conza.

La costruzione dell'edificio, mancando le attuali colonne portanti, avveniva semplicemente e uniformemente dal basso verso l'alto: dapprima si innestavano le fondamenta sulla roccia uniforme, poi si procedeva con una linea di conci lungo tutti i perimetri della casa e delle singole stanze, cosicché il fabbricato saliva tutto quanto insieme (salvo le aperture delle porte, dei balconi e delle finestre), con i conci di ciascuna fila asimmetrici rispetto ai sottostanti, rafforzando in tal modo la solidità statica mediante incastri a scacchiera.

Alcuni muri, in genere quelli esterni, erano considerati portanti e risultavano da due muri paralleli distanti qualche decina di centimetri l'uno dall'altro, col duplice risultato di una maggiore solidità e, mediante la camera d'aria così ottenuta, di ostacolo all'umidità, che, trattandosi prevalentemente di case a pianterreno e a contatto col suolo, era un pericolo reale.

L'umidità veniva anche combattuta mediante una massicciata, sottoposta a tutta la superficie dell'edificio, costituita da pietre prima grosse e poi più piccole fino al pietrisco, profonda fino ad un metro.

Fino a tutta la prima metà del Novecento con la sua squadra, il capomastro si occupava anche del pavimento e dell'intonaco, ed un buon fabbricature aveva le competenze necessarie sia ad intonacare l'edificio che ad ammattonarlo, anche perché il pavimento era costituito da impasto di malta e pietrisco minutissimo o da chianche, ossia lastre di pietra leccese alte una quindicina di centimetri che venivano utilizzate anche per la copertura delle lammie, ovvero le terrazze.

In seguito, l'introduzione di nuovi materiali più specifici ha indotto una rigorosa specializzazione, per cui dal lavoro del fabbricature si sono separati del tutto quelli del mattunaru e del cazzafittaru (cazzafitta è l'intonaco).

Il momento più importante della costruzione era considerato quello in cui si smontavano le impalcature in legno interne, che avevano consentito la edificazione delle volte; si svolgeva allora il capucanale, una festa nella quale il committente della casa offriva un lauto pranzo ai muratori.

Le chianche in pietra leccese utilizzate per i pavimenti delle abitazioni

Le chianche in pietra leccese utilizzate per i pavimenti delle abitazioni

La pietra leccese tufacea invece veniva usata per la costruzione delle volte delle case

La pietra leccese tufacea invece veniva usata per la costruzione delle volte delle case

Le chianche in pietra leccese nei centri storici: il carparo a Palazzo Adorno, a Lecce

Le chianche in pietra leccese nei centri storici

Le chiance in pietra leccese nel centro storico di Alessano

Le chiance in pietra leccese nel centro storico di Alessano

Proverbi sulla pietra e sui fabbricatori

L'acqua a llu fràbbecu, e lu mieru a llu fabbricature.
L'acqua fa bene e serve all'edificio, mentre il vino serve al muratore.

Fame te fabbricature e sete te ferraru.
Fame di muratore e sete di fabbro.

Petra subbra petra, azza parite.
Pietra sopra pietra, poco alla volta, permette di edificare un muro.