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Il giunco nell'artigianato salentino di una volta

Il giunco ha rivestito un'importanza fondamentale nei manufatti elaborati dagli artigiani salentini, primo fra tutti va citato l'intreccio di canne grazie al quale si realizzavano e si fanno ancora le coperture delle abitazioni.

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L'uso del giunco nella preparazione dei manufatti nel Salento di una volta

Non c'era una vera e propria figura artigianale che si dedicasse alla lavorazione del giunco o di altri vegetali filamentosi, faceva parte delle attività contadine, di uomini, donne e bambini, quando ve n'era il tempo e il modo. Ognuno elaborava l'oggetto che era più consono alla sua abilità, tenendo sempre comunque conto delle necessità del momento.

Lu Mesciu te panari o cannizzaru

Anche la figura del canestraio era un'attività che tutti i contadini praticavano, e durante i periodi di minore impegno nei lavori agricoli, gli uomini, seduti all'ombra d'un albero o d'un pagliaio quasi per passatempo, chiacchierando con i vicini, costruivano panari, canisce e canisciuni (panieri, canestri e canestroni), nonché cannizzi, i graticci di canne sui quali si mettevano a seccare i fichi e gli ortaggi.

La materia prima era costituita dal giunco, dalle canne sezionate per il lungo e dai vinchi, polloni cresciuti in estate sui tronchi degli ulivi, sottili, resistenti e flessibili.

Gli attrezzi erano la forfice, ossia le cesoie, un falcetto e un coltello.

Accanto a panare, canisce e cannizzi si producevano oggetti più rifiniti, come fischiareddhe (fiscelle per ricotta e formaggio), cestini, ventagli, per i quali era richiesta una maggiore specializzazione: si faceva allora ricorso a lu mesciu te panari professionista.

In ultimo, e non certo per importanza, le lunghe trame degli intrecci servivano anche come sottotetto nelle abitazioni, al di sotto dei coppi e fango che invece costituivano la protezione esterna del tetto. Oggi, tali manufatti, da sempre chiamati cannizzi o incannucciato, vengono molto utilizzati anche come ombreggianti nelle coprture dei giardini, la loro tipicità offre un tocco di antico a confortevoli e moderni parchi verdi.

Li panari

Li panari

Lu Zzucàru

Lu zzucàru, ossia il cordaio, produceva corde di ogni spessore e lunghezza, partendo dalla canapa e dal cotone che sgranava e filava servendosi di una macìnula (piccola macchina, diminutivo alla latina) o arganello, intorno alla quale avvolgeva il filo; quindi intrecciava più fili, procedendo all'indietro.

Il cordaio produceva anche i fìschiuli, le borse di cragnu (cordicella) intrecciato che servivano per spremere ulteriormente sotto il torchio le vinacce e la pasta di ulive già frantumate.

Le zzuche di Bagnolo sono corde vegetali realizzate con la cannuccia di palude, i pilieddhi, che vegeta lungo le rive dei Laghi Alimini. Gli abitanti, non a caso, sono soprannominati zzucari, ovvero cordai, in riferimento alla loro specializzazione produttiva del passato.

Le zzuche hanno sempre rappresentato la più importante attività artigianale del paese, oggi pressoché scomparsa.

La cannuccia per le zzuche un tempo veniva raccolta, ammassata e battuta con il mazzuolo, un grande martello di legno, fino ad assumere quell’elasticità e flessibilità necessarie per favorirne l’intreccio.

Questo si eseguiva lavorando la fibra con i palmi delle mani, imprimendole un moto di rotazione e aggiungendo continuamente nuovi fili di erba palustre così da allungare sempre più la corda.

Il risultato finale era l’estrema resistenza della materia. Il centro maggiore di raccolta di questi manufatti era Acquatica del Capo dove si imbastiva la cestineria, utilizzando quasi esclusivamente il più pregiato pileddhu che abbonda nelle paludi della costiera ionica, come Salina, Tamari e Piccolo Chidro.

Nel 1873, alcuni lavori in giunco inviati all’esposizione di Vienna, vennero premiati; a Torino, in una mostra nazionale, le zzuche vennero apprezzate per la loro resistenza e il basso costo. Arrivarono le prime commesse e da Acquarica un agente di Londra esportò in Inghilterra la quasi totalità della produzione.

Il proverbio sui zzuccari

Scire rretu pe rretu, comu a lli zzucàri.
Andare all'indietro, come i cordai.

Le zzucche

Le zzucche